(Articolo tradotto dall'inglese tratto da: www.FishingHurts.com)
"Ora posso guardarti in pace; ora che non ti mangio più"
-- Franz Kafka ad un pesce
Anche se sembrano molto diversi da noi, i pesci in realtà sono animali comunicativi e sensibili. Senza l'aiuto di un equipaggiamento sofisticato, tuttavia, è facile lasciarsi sfuggire la complessità di questi animali acquatici.
Jacques Cousteau una volta ha chiamato gli oceani "il mondo silenzioso" e, per anni, molti scienziati hanno concordato con lui. Ma quando un ricercatore del Marine Biological Laboratory di Woods Hole, Massachussets, ha portato con sé durante un'immersione un microfono appositamente modificato, è stato "travolto dai suoni". Per esempio, le cernie abbaiano quando scorgono un predatore, i ciclidi emettono dei grugniti quando si accoppiano e i pesci hamlet emettono persino dei gridolini durante l'orgasmo.
Altri, come i pesci "elettrici" dell'Africa o del Sud-Americacomunicano trasmettendo dei segnali elettrici.
I pesci hanno vibrisse sulla schiena che registrano vibrazioni e campi elettrici, ed hanno papille gustative nella gola, così come nel naso e nelle labbra. Usano la bocca più o meno come noi usiamo le dita, per afferrare ed esplorare gli oggetti, per raccogliere cibo, costruire rifugi e prendersi cura dei piccoli (quando avvertono un pericolo vicino, alcuni pesci aprono la bocca per permettere ai piccoli di nascondersi all'interno). Di fatto, la bocca dei pesci è così sensibile agli stimoli che il dolore che provano è particolarmente acuto.
Da: Fox, Michael W., D.V.M., Ph.D., "Do Fish Have Feelings?," The Animals' Agenda, luglio/agosto 1987, pagg. 24-29.
Anche se non urlano quando provano dolore ed angoscia, il loro comportamento di per sé è sufficiente a dimostrare la sofferenza che provano quando sono presi all'amo od intrappolati in una rete. Lottano, nel tentativo di scappare, e, così facendo, dimostrano di avere la volontà di sopravvivere.
E' stato dimostrato che i pesci (come gli altri animali vertebrati, inclusi gli esseri umani) hanno un sistema molto sviluppato che li aiuta a proteggersi dal dolore intenso - dolore che può mettere a rischio la loro vita se, in seguito a qualche ferita, quale, ad esempio, quella che può essere causata da un grosso predatore, fossero del tutto impossibilitati a muoversi. Questo sistema rilascia delle sostanze naturali simili agli oppiacei (encefaline ed endorfine) quando l'animale è ferito. Proprio la presenza di questo sistema dimostra la loro capacità di provare dolore, altrimenti non avrebbe ragione di esistere.
Secondo il ricercatore olandese John Verheijen ed i suoi collaboratori, il dolore che risulta da una ferita causata da un amo, è dovuto più alla paura che alla ferita. Questa conclusione deriva da studi sul comportamento delle carpe prese all'amo. Alcuni dei pesci allamati sono stati trattenuti con una lenza senza ardiglione, altri con una lenza con ardiglione. Negli esperimenti descritti nel numero di New Scientist del 2 aprile 1987, si osserva che i pesci catturati con una lenza senza ardiglione hanno ricominciato a mangiare poco dopo essere stati liberati, mentre quelli catturati con l'ardiglione hanno in seguito rifiutato il cibo per un notevole periodo di tempo.
Dopo essere stati presi all'amo i pesci scattavano in avanti, si tuffavano, sputavano e scuotevano la testa come se stessero cercando di sputare del cibo. Dopo alcuni minuti dalla cattura, la carpe hanno cominciato a mostrare un tipo di comportamento chiamato "spitgas" (sputa gas), il prolungato sputare gas dalla vescica natatoria, che ha causato, dopo la loro liberazione dall'amo, un improvviso affondamento.
In altri esperimenti sono stati usati stimoli elettrici per produrre stimoli dolorosi più precisi; dopo alcuni minuti di esposizione le carpe cominciavano a sputare gas ed affondare. Verheijen ha affermato: "Il ritardo che intercorre tra lo stimolo doloroso e le risposte di spitgas ed affondamento indicano una serie di processi biochimici e fisiologici in atto associati alla paura."
NdT: Nonostante questi esperimenti siano del tutto condannabili dal punto di vista etico, e le azioni dei ricercatori (o meglio, torturatori) ingiustificabili, essi dimostrano senza dubbio che i pesci provano dolore e paura, come tutti gli altri animali.
Da: Lord Medway, et. al., "Report of the Panel of Enquiry Into Shooting and Angling," sponsorizzato dalla Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, 1979.
Forse ci sono ancora persone che sostengono che non possiamo provare con certezza assoluta che gli altri vertebrati, a parte l'uomo, provino dolore. Noi, comunque, concludiamo che, se alcuni di essi provano dolore, questo suggerisce che tutti i vertebrati (inclusi i pesci), attraverso la mediazione di processi neurofarmacologici simili tra loro, possano provare sensazioni simili a un dolore più o meno intenso in risposta a stimoli nocivi.
L'apparente universalità, nei vertebrati, delle basi neurofarmacologiche per la percezione degli stimoli dolorosi (e piacevoli) non ci permette di concordare con coloro che riconoscono una differenza in questa funzione tra organismi "a sangue caldo" e "a sangue freddo".
Tutti i generi di amo causano danni ai tessuti quando si agganciano alle carni e, parlando in termini medici, provocano una ferita.
Le regole della pesca sportiva o pesca al colpo spesso richiedono che il pesce venga trattenuto (in acqua) per un prolungato periodo di tempo in una nassa ed in seguito esaminato, pesato e spesso fotografato (in aria) prima di essere finalmente liberato. Tutte queste procedure aumentano le probabilità di provocare ferite al pesce.
I tessuti di un pesce, quando viene tolto dall'acqua, sono soggetti, in aria, ad una pressione fortemente ridotta e di natura diversa da quella a cui sono soggetti in acqua. Di conseguenza vi sono delle gravi alterazioni nei vari sistemi periferici che regolano la pressione linfatica e sanguigna, e la respirazione. La perdita di sangue tende ad avvenire dalle branchie e, anziché disperdersi, il sangue coagula e riduce l'effettiva superficie respiratoria.
Più significativi sono gli effetti dell'essiccazione, in particolare della manipolazione della pelle e delle branchie. La superficie esterna del pesce non consiste di scaglie, come comunemente si crede. Le scaglie sono localizzate all'interno del derma, o strato medio della pelle. In superficie c'è l'epidermide, con la sua copertura di muco.
L'epidermide è un tessuto trasparente molto delicato che provvede all'impermeabilizzazione, una parte essenziale del controllo fisiologico dell'equilibrio tra il pesce ed il proprio ambiente. Costituisce anche la barriera tra il pesce e l'ampia varietà di microrganismi che causano malattie che si trovano nell'acqua. Manipolare un pesce, tenendolo in mano o in una nassa per rimuovere l'amo, provocherà quasi certamente dei danni a questa delicata pellicola. Inoltre, il tenere un pesce avvolto strettamente in un panno asciutto causa gravi danni all'animale, poiché rimuove l'epidermide da ampie parti del corpo.
"Giocare" per un tempo prolungato con un pesce, specialmente se poi viene rimesso in acqua, è riprovevole. Quando i pesci teleostei vengono tormentati e costretti a lottare fino all'esaurimento, fanno un ampio uso del loro sistema muscolare "bianco", che differisce dal muscolo scheletrico rosso dei vertebrati più grandi per il fatto che è anaerobico e, anche se molto efficiente sui tempi brevi, quando esausto provoca un grande accumulo di acido lattico, per il cui smaltimento il sistema muscolare è costretto a rimanere in uno stato di affaticamento prolungato. Un pesce completamente esausto sarà perciò incapace di muoversi per diverse ore dopo la cattura e il rilascio. Durante questo periodo di tempo sarà a rischio di attacchi di predatori o di ferite provocate da oggetti inanimati presenti nell'ambiente.
Da: Dunayer, Joan, "Fish: Sensitivity Beyond the Captor's Grasp," The Animals' Agenda, luglio/agosto 1991, pp. 12-18.
I pesci gridano sia per il dolore che per la paura. Secondo il biologo marino Michael Fine, la maggior parte dei pesci che producono suoni "vocalizzano" quando vengono colpiti, intrappolati o inseguiti. Durante esperimenti condotti da William Tavolga si è scoperto che i pesci rospo brontolano quando subiscono uno shock elettrico. Di più, essi cominciano molto presto a brontolare alla sola vista di un elettrodo.
L'industria della pesca a strascico sta spazzando dagli oceani la vita marina ad un ritmo allarmante. 13 tra le 17 maggiori zone di pesca mondiali sono impoverite o si stanno velocemente svuotando. Le restanti 4 sono sovrasfruttate o sfruttate completamente.
Oggigiorno l'industria commerciale del pesce utilizza enormi pescherecci "industriali" dalle dimensioni più grandi di un campo da calcio, ed impiega sofisticati strumenti elettronici e comunicazioni via satellite per localizzare i banchi di pesce (le società più grandi fanno uso addirittura di aerei ed elicotteri!). Reti enormi, a volte estese per miglia, si dipanano nell'oceano, inghiottendo tutto e tutti, incluse tartarughe e uccelli marini.
Un tipo di rete è la rete ad aggiramento, che viene issata e chiusa come un sacco. La caccia con questo tipo di reti al tonno dalle pinne gialle ha sollevato l'opinione pubblica in difesa dei delfini intrappolati assieme ai tonni che nuotavano sotto di loro. E i tonni? Sebbene il tonno non abbia il sorriso di Flipper, soffre nello stesso modo. Gli esplosivi subacquei utilizzati per ammassare i delfini provocano terrore e dolore anche ai tonni e le onde d'urto provocate dalle detonazioni possono lesionare la vescica natatoria dei pesci.
I pescherecci trainano enormi reti nell'acqua, costringendo tutti i pesci sulla loro strada ad ammassarsi verso le estremità chiuse. Per ore, i pesci intrappolati sono strizzati e scossi, assieme a rocce intrappolate nella rete e a detriti oceanici. Lo scrittore William Warner, descrivendo una retata da lui osservata, ha detto: "Il rotolamento prolungato ed il trascinamento all'interno della rete avevano portato i pesci a cozzare l'uno contro l'altro e a desquamarsi reciprocamente. I loro fianchi infatti erano completamente graffiati e grattati."
Quando vengono issati dalle profondità marine, i pesci subiscono una dolorosa decompressione. Spesso, l'elevata pressione interna rompe la vescica natatoria, causa la fuoriuscita dei bulbi oculari e spinge l'esofago e lo stomaco fuori dalla bocca.
I pesci più piccoli, come la passera di mare, sono normalmente gettati su letti di ghiaccio tritato: la maggior parte di questi pesci soffoca o viene schiacciata a morte da quelli che li seguono. I pesci più grandi, come il merluzzo, vengono gettati direttamente sul ponte. Il testimone oculare William MacLeish descrive così la suddivisione del pescato: l'equipaggio colpisce il pesce con corti bastoni acuminati chiamati pickers, "gettando merluzzi da una parte e tonni dall'altra". Successivamente la gola e il ventre dei pesci vengono aperti. Nel frattempo il pesce non desiderato (bycatch), che a volte costituisce la maggior parte del pescato, viene scagliato fuori bordo spesso per mezzo di forconi.
Ogni giorno i pescatori possono deporre fino a 60.000 chilometri di reti nell'alto Pacifico, e reti ancorate nelle acque costiere.
Reti di plastica appesantite sembrano appese come tende, fino ad una profondità di 10 metri. Impossibilitati a vedere la rete, i pesci vi nuotano dritti dentro. A meno che non siano molto più piccoli delle maglie, i pesci riescono ad infilare solo la testa. Quando tentano di uscire dalla rete rimangono intrappolati con le branchie o le pinne. Molti dei pesci soffocano; altri lottano talmente disperatamente da morire dissanguati.
Dal momento che questo particolare tipo di rete viene lasciato incustodito a lungo, i pesci intrappolati possono soffrire per giorni. Alcune industrie di pesca cacciano ancora i grandi pesci di valore (pesce spada, tonno, squalo) per mezzo di arpioni o li agganciano individualmente. I pesci di grandi dimensioni sono catturati per mezzo di palamiti con centinaia di migliaia di ami innescati, che vengono srotolati dalle navi fino a 40 chilometri di lunghezza.
E non è tutto! Nel processo di macellazione di miliardi di animali marini, i pescherecci scaricano negli oceani anche:
"Non ci piace quello che Madre Natura ci passa. Questa è una fabbrica di pesce." --Bill Evans, vice presidente di Mariculture Systems Inc., una azienda produttrice di salmoni (Citazione tratta dal The New York Times del 1 Marzo 1997)
L'Acquacoltura (l'allevamento di pesci in un ambiente controllato) è diventata un'industria da svariati milioni di dollari. Quasi metà dei salmoni, il 40% dei molluschi ed il 65% dei pesci di acqua dolce consumati al giorno d'oggi, trascorrono la maggior parte della loro vita in cattività. Il National Fisheries Institute (Istituto Nazionale delle Industrie della Pesca) definisce l'acquacoltura "uno dei settori dell'industria della produzione di cibo con la più rapida crescita a livello mondiale".
Strappati via dal loro ambiente naturale, i pesci allevati nelle "acquafattorie" vengono rinchiusi in vasche poste all'interno di costruzioni in acciaio. Sistemi ad elevata portata ed alta tecnologia controllano l'afflusso di cibo, luce e la stimolazione della crescita. Farmaci, ormoni e le tecniche dell'ingegneria genetica vengono utilizzati per accelerare la crescita e modificare il comportamento riproduttivo degli esemplari.
Per dimostrarsi redditizie, le acquafattorie devono allevare un numero elevatissimo di animali in ambienti ristretti. Questo sovraffollamento provoca danni alla testa ed alle pinne dei pesci e causa un anomalo accumulo di stress negli animali che risultano così facili prede di malattie epidemiche. Di conseguenza, per mantenere sotto controllo la proliferazione dei parassiti, le infezioni di epidermide e branchie, ed altre malattie tipiche dei pesci di allevamento, i tecnici delle acquafattorie pompano massicce dosi di antibiotici e sostanze chimiche nell'acqua delle vasche. Una delle sostanze chimiche utilizzate per eliminare i pidocchi di mare, i Dichlorvos, è altamente tossico per tutte le forme di vita marina e può provocare l'infarto nei salmoni.
L'acquacoltura stravolge il comportamento naturale e l'istinto dei pesci. In natura, la migrazione dei salmoni dall'acqua dolce all'acqua di mare avviene gradualmente, mentre nelle acquafattorie il brusco e violento cambio di habitat provoca un trauma tale da causare la morte di quasi il 50% per cento degli esemplari. Molti pesci mostrano segni evidenti di frustrazione e stress, come, ad esempio, il saltare continuamente fuori dall'acqua.
Il momento della macellazione porta ulteriori traumi. I pesci vengono spesso privati del cibo nei giorni o addirittura nelle settimane che precedono la macellazione, allo scopo di ridurre la contaminazione dell'acqua durante il trasporto. Alcuni pesci vengono uccisi senza essere nemmeno storditi; le loro arcate branchiali vengono tagliate e vengono lasciati sanguinare fino alla morte, in preda a convulsioni ed altri evidenti segni di sofferenza. In altri casi gli animali vengono uccisi semplicemente prosciugando l'acqua dalla vasca mandandoli incontro ad un lento soffocamento.
L'allevamento di una tonnellata di pesce richiede otto tonnellate d'acqua. La produzione intensiva di gamberi richiede una quantità d'acqua fino a 10 volte superiore.
Secondo la rivista Science, un allevamento di salmoni di un ettaro produce una quantità di rifiuti paragonabile ad una città di 10.000 persone. Si è constatato che gli allevamenti di salmone della Colombia Britannica producono la stessa quantità di rifiuti prodotta da una città di mezzo milione di persone.
Le fattorie di acquacoltura scaricano i rifiuti, pesticidi ed altre sostanze chimiche direttamente nelle acque costiere, ecologicamente fragili, distruggendo così l'ecosistema locale. Inoltre, gli allevamenti di Acquacoltura che allevano i pesci direttamente in zone di acque libere opportunamente recintate, distruggono fiorenti habitat naturali sovraccaricandoli ben al di là della loro capacità. I rifiuti organici prodotti dai pesci possono formare enormi strati di fanghiglia verde sulla superficie dell'acqua, impoverendo così di ossigeno le acque stesse ed uccidendo gran parte delle forme di vita in esse contenute.
In Brasile la devastazione provocata dall'Acquacoltura ha modificato il clima locale a tal punto che alcuni allevamenti sono stati costretti a chiudere i battenti.
Inoltre, nonostante i pescicoltori amino descrivere l'acquacoltura come un'alternativa all'impoverimento della popolazione ittica, molte delle specie allevate, sono in effetti predatrici, come ad esempio il salmone ed il gambero, e devono pertanto essere alimentate con pesci oceanici. Sono necessari 2.5 chili di pesce oceanico per produrre solo mezzo chilo di pesce allevato.
Gli uccelli che si nutrono di pesci sono attirati verso gli specchi d'acqua dell'acquacoltura che rappresentano una fonte di cibo. Piuttosto che utilizzare misure incruente per mantenere gli uccelli lontano dai pesci, come ad esempio coprire gli specchi d'acqua con delle reti, molti pescicoltori semplicemente uccidono gli uccelli.
Lo U.S. Fish & Wildlife Service (USFWS), che rilascia le licenze che consentono l'uccisione degli uccelli, non ha messo in atto alcun meccanismo per assicurarsi che i pescicoltori rispettino effettivamente i limiti stabiliti dalle licenze per quanto riguarda numero e specie degli uccelli che possono essere cacciati.
Quando la National Audubon Society ha ispezionato i siti di acquacoltura, sono state individuate estese fosse comuni contenenti cadaveri di uccelli in numero molto superiore a quanto consentito dalle licenze dell'USFWS.