(Brano tratto, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro: "Le fabbriche degli animali: 'mucca pazza' e dintorni", E. Moriconi; Ed. Cosmopolis, 2001 - pagg. 52-57)
Nelle stalle odierne, alle vacche da latte è riservata una condizione leggermente migliore che ad altri animali o ad altre tipologie di allevamento bovino. Le stalle industriali sono solitamente concepite secondo il principio di lasciare libertà agli animali, i quali non sono legati ad un posto fisso. Le stalle sono quindi realizzate per aree: vi è una zona per l'alimentazione, un'altra per la notte formata da giacigli individuali, una zona esterna e infine la sala di mungitura che viene utilizzata quando devono essere munte. All'interno di queste aree, gli animali sono liberi di muoversi.
Naturalmente si tratta pur sempre di spazi non illimitati ma che consentono comunque una certa possibilità di movimento. Così le bovine possono permanere nei luoghi di volta in volta da loro preferiti, cioè possono stare coricate all'interno dello stabile nelle cuccette, come vengono chiamate le zone per il riposo, oppure nelle aree comuni situate all'esterno (paddock) o all'interno.
Questo trattamento non è dovuto ad una particolare benevolenza verso gli animali, ma nasce dall'interesse umano. Si è visto infatti che con questi sistemi è possibile allevare anche numeri elevatissimi di animali, oltre i 300, con pochissimo ricorso alla mano d'opera.
Per l'alimentazione si usano carri distributori automatici, condotti da una sola persona, per le pulizie ugualmente si ricorre a metodi meccanici cosicché le presenze umane sono ridotte al minimo. Le razze utilizzate poi, le frisone, (ovvero le vacche bianche e nere) di ceppo olandese, francese, tedesco, americana, canadese e italiano, sono animali che richiedono poche cure anche al momento del parto. Vi sono infatti alcune razze da carne, segnatamente la piemontese, che anche per la scarsa selezione genetica effettuata, richiedeva molta assistenza al momento del parto, che solitamente avveniva di notte con tutte le conseguenze indotte di necessità di presenza umana. Invece questa razza riesce a partorire da sola richiedendo veramente poche attenzioni da parte dell'uomo.
Le lattifere sono sfruttate molto intensamente per cui la loro vita produttiva diventa corta; usurata dalla superproduzione di latte, vivono 7 o 8 anni, mentre in natura potrebbero vivere fino a 40 anni. La brevità della vita rende anche meno facile l'insorgere di malattie.
Lo sfruttamento intensissimo configura uno stato di stress continuo per gli animali: sono sottoposte a super alimentazione perché producano più latte, le mammelle sono spropositatamente gonfie e per questo sono sensibili alle infezioni mastitiche, cosa che richiede il ricorso ad un'attenta prevenzione, che si espleta anche attraverso la somministrazione di farmaci al momento dell'asciutta, cioè quando la mammella non produce più latte alla fine della lattazione e prima del parto successivo. La stessa struttura degli animali è caratteristica: il corpo è di fatto tutto al servizio della mammella, che è enorme, mentre i muscoli degli arti, solitamente molto sviluppati in tutti i bovini sono anormalmente sottosviluppati, proprio perché nella selezione non interessava questo particolare.
Le mammelle smisuratamente dimensionate, quando sono in piena attività, possono arrivare a dare più di 40 litri di latte al giorno, sono gonfie, tese e pesanti, sicuramente dolenti. Sono il segno evidente di quale sia il ruolo di questi animali: macchine da latte, e nei libri su cui si formano i veterinari, giustamente, un capitolo è dedicato alla valutazione dei parametri di efficienza produttiva, cioè come imparare a distinguere a colpo d'occhio quale sia l'animale che produce di più, mettendo in luce il primo compito di questi animali: dare la maggior quantità di latte possibile. Naturalmente, in quest'ottica, la perdita di naturalità è totale e il bovino diventa veramente una macchina riproduttiva di vitelli che sono indispensabili perché le mammelle producano il latte, dal momento che non si è ancora riusciti a creare una vacca che faccia montagne di latte senza prima partorire un vitello. Forse nel futuro ciò sarà possibile, e potrebbe anche realizzarsi un mito degli zootecnici, riuscire a sostituire totalmente la bovina con una macchina, che, a fronte dell'introduzione di una qualche fonte di energia, produca latte in abbondanza. Questa potrebbe essere una soluzione quasi ideale, perché almeno si giungerebbe al superamento della sofferenza animale, in quanto una macchina, per definizione, non dovrebbe provare dolore.
Purtroppo la situazione è ben diversa, anzi opposta, e tutto quello che si riesce a fare è trattare gli animali come macchine, negando la loro sofferenza e la loro identità di esseri viventi. Essi vengono considerati oggetti che a fronte di un certo investimento debbono produrre ricavi e guadagni certi. Così le eventuali malattie, quali le mastiti, l'infiammazione della mammella, molto frequenti poiché si tratta di un organo intensamente sfruttato, o anche l'infiammazione del piede, altro evento patologico comune in queste tipologie di allevamento, non sono valutate per la sofferenza che inducono, ma solo per una possibile perdita di rendimento, per il calo della produzione lattea e per i costi da affrontare per le cure.
Ormai queste bovine non allattano più il proprio vitello e sono tutte sottoposte alla mungitura meccanica, che deve essere controllata solo perché, se qualcosa non funziona bene, può indurre mastite causando la perdita di guadagno. Poco importa se la mungitura sia più o meno dolorosa, è solo importante che non si creino le condizioni per una diminuzione della resa lattea.
Nelle stalle industriali si verifica sovente una condizione ambientale negativa, dovuta alla struttura stessa e alla cattiva manutenzione. Nel reparto dove gli animali sono liberi di circolare, definito, con un termine discendente dagli allevamenti di cavalli, "paddock", si possono verificare dei ristagni di acqua mescolata alle deiezioni. Questi reparti infatti o sono cementificati o sono di semplice terra. Detto che la terra è senz'altro più confacente alla struttura del piede rispetto al cemento, si deve ricordare che la pulizia di questo reparto avviene meccanicamente, nel caso del cemento con dei raschiatori metallici che due volte al giorno percorrono tutta la superficie asportando le deiezioni e le urine, nel caso del semplice terreno queste sono asportate periodicamente con l'ausilio di trattori. Il punto critico è dovuto al fatto che in caso di pioggia eccessiva e di scarsa manutenzione, cioè di intervalli troppo lunghi nelle pulizie, si forma un vero e proprio lago, profondo anche alcune decine di centimetri nel quale le vacche sono obbligate a stazionare con le zampe a bagno anche fino allo stinco. Si tratta di una situazione che non è certo favorevole perché, il lungo contatto con l'acqua, può indurre delle malattie ad esempio l'infezione all'unghia del piede.
Sempre e solo per motivi di maggior guadagno, i bovini sono stati i primi animali ad essere interessati dall'ingegneria genetica. Essi infatti hanno conosciuto per primi l'applicazione della tecnica del trapianto embrionale. In pratica, quando con la selezione normale si riusciva a far nascere una bovina di particolare pregio, questa veniva inseminata da un toro di altrettanto pregio, non prima però di aver provocato lo sviluppo di un numero elevato di cellule uovo: in questo modo con una sola fecondazione si dava inizio ad un alto numero di embrioni, anche più di dieci. Dopo pochi giorni gli embrioni venivano prelevati e introdotti in altre femmine che portavano a termine la gravidanza facendo nascere vitelli che non erano propriamente loro figli. Un allontanamento dalla natura che solo la visione sempre più meccanicistica degli uomini porta a non considerare come importante.
In verità, la riduzione ad oggetti di esseri viventi comporta dei cambiamenti nell'etologia degli animali che comporterà delle conseguenze difficilmente prevedibili. Nel campo dei bovini, ad esempio, un certo tipo di selezione ha già fatto sì che alcune razze partoriscano con maggiori difficoltà di altre, e la fecondazione artificiale ha cambiato i cicli sessuali di molte bovine che non manifestano più, come avviene in natura o al pascolo, i segni dell'estro ma sono sempre più frequenti i casi di "calori silenti" cioè senza i segni fisiologici.
Un altro elemento che determina una perdita di naturalità è legato all'alimentazione. I bovini si erano sviluppati come erbivori e mangiavano essenzialmente erbe. Tra l'altro, questa loro caratteristica e la scarsa adattabilità a cibarsi di altri elementi, come le foglie degli alberi, è stata probabilmente causa del ritardo del loro addomesticamento, avvenuto molto tempo dopo quello delle pecore e delle capre, che, più rustiche, si adattavano a cibarsi di alimenti di minor valore. Gli erbivori oggi, sono stati obbligati ad alimentarsi in maniera del tutto innaturale. Negli allevamenti industriali, le "macchine da latte" non possono più nutrirsi di erba o di fieno, bensì sono costrette ad accettare quello che viene loro offerto: attualmente il cibo più comune è "Unifeed", che tradotto dall'inglese significherebbe "piatto unico".
Gli "zootecnici" hanno deciso cioè, che il modo migliore perché gli animali crescano e costino poco è quello di mescolare tutto insieme l'alimento: l'insilato (cioè il mais tritato e conservato in silos), il mangime, e gli integratori vari. Quest'unica poltiglia alimenta oggi le bovine lattifere. In questo modo è anche più facile somministrare qualsiasi materia, dai grassi alle proteine animali. L'alimentazione è causa di grandi problemi: si pensi al caso di "mucca pazza" che è nata proprio dagli alimenti che sono stati somministrati, cioè le pecore morte di Scrapie. Il fatto che i bovini siano "di bocca buona", cioè capaci di consumare qualsiasi tipo di alimenti, fa di loro degli spazzini perfetti. Questa caratteristica, collegata al bisogno di somministrare con la dieta sostanze in grado di sostenere il contenuto proteico e di grassi necessari perché il latte non perda le sue caratteristiche ne fa degli ipotetici riciclatori delle sostanze più eterogenee.
Tutto nasce dalle super produzioni: per sostenere il grasso e le proteine necessarie alle grandi produzioni di latte, occorre integrare la dieta. Se però, invece di materie prime di qualità si usano scarti di poco valore, il guadagno diventa maggiore. Nascono così le "idee" di cibare gli erbivori con le carcasse delle pecore morte per dare più proteine oppure di dare grassi "alla diossina" perché economici e rispondenti allo scopo di "grassare" il mangime. Oggi anche illustri professori magnificano le doti dei bovini come riciclatori di rifiuti, come se la soluzione del problema principale delle odierne società consumistiche, i rifiuti, si potesse risolvere in questo modo. Naturalmente, come sempre, tutto questo significa una violenza agli animali che, nati erbivori, sono obbligati ad una dieta carnivora.
Una violenza ancora maggiore è quella riservata ai vitelli, ai figli cioè delle bovine lattifere. Appena nati, sono già un peso, in quanto si nutrono del prezioso latte che deve essere venduto per procurare il guadagno ai conduttori, così, dopo pochissimi giorni, sono allontanati dalla madre e rinchiusi in una piccola gabbia, sovente all'aperto e quindi al freddo in inverno e al caldo in estate. Nella gabbia sono alimentati con latte in polvere, costituito solo in minima parte da siero di latte, quello che avanza dalle lavorazioni casearie che danno origine al formaggio, integrato da grassi e proteine di vario tipo, costituiti da cereali o da materie di scarto.
Il fatto di essere allontanati subito dalla madre procura certamente una sofferenza, sia a loro sia alla madre, dopo pochi giorni faranno un altro viaggio per andare in un allevamento da ingrasso dove vivranno sei mesi in uno stretto box in cui non potranno nemmeno coricarsi. Solo pochi fortunati scappano a questa sorte. Sono alcune delle figlie che dovranno formare la rimonta, cioè la parte destinata a diventare manza e poi vacca, ad essere ingravidata per dare latte e altri vitelli. Certamente faranno le riproduttrici le figlie di alta genealogia, nate dal trasferimento di embrioni, perché tante spese si possono recuperare solo se esse diventeranno delle madri in grado di continuare il ciclo. Questi vitelli, dopo il primo allontanamento dalla madre, vengono spostati nei box all'interno delle stalle dove incominceranno la vita che le porterà ad essere delle riproduttrici di valore. Vivranno, dopo i primi mesi, insieme a tutte le altre bovine adulte: una specie di gineceo. Quando andranno per la prima volta in calore, saranno inseminate artificialmente ed inizierà la loro carriera produttiva, e vivranno con le altre vacche lattifere.
Tutta la vita delle vacche da latte rappresenta una continua violenza da parte dei conduttori che non si curano troppo delle loro esigenze. Certo si tratta di violenze subdole, non apparenti. Nei capannoni luminosi e quasi asettici, con ampi volumi e superfici a disposizione non è facile capire dove si cela la violenza, perché si è abituati a vederla solo sotto forma di maltrattamento manifestato da percosse o ferite. Invece oggi la sofferenza è mistificata, nascosta dalle strutture moderne ed efficienti.